Benvenuti su Storie perdute, la newsletter che due volte al mese racconta storie che meritano di essere raccontate. E che molto spesso sono state dimenticate.
Italia, 1970
In quegli anni si poteva sentire alla radio Chi non lavora non fa l'amore, canzone di Adriano Celentano premiata al Festival di Sanremo, si poteva guardare alla televisione una giovane Raffaella Carrà in Canzonissima ballare con l’ombelico scoperto dando scandalo.
Negli stessi anni si registravano anche scontri armati e attentati di gruppi estremisti come le Brigate Rosse e Ordine Nuovo.
È proprio in questo periodo che si attesta l’inizio di un fenomeno che diventerà centrale nelle discussioni attuali: l’immigrazione.
A oggi, dopo 50 anni, nel nostro Paese sono registrati poco più di 5 milioni di residenti stranieri provenienti da tutto il mondo.
Negli ultimi 13 anni, le persone arrivate via mare (sbarchi) da tutto il mondo sono state poco più di 1 milione.
Brasile, 1870
A fine Ottocento il Brasile era comandato dal suo secondo e ultimo imperatore, Pietro II. Era anche l’ultima delle nazioni occidentali a non aver ancora accettato l’abolizionismo: infatti, la schiavitù si abrogò solo nel 1888.
Il 1870 è considerato il momento cardine per l’inizio di un fenomeno che segnerà il Brasile fino ai giorni nostri: l’immigrazione italiana.
In quegli anni infatti giunsero i primi gruppi di emigrati italiani: iniziava così la prima delle tre fasi della grande emigrazione, durate fino all’arrivo della Prima guerra mondiale.
L'IBGE - agenzia brasiliana responsabile per le informazioni statistiche - riporta che in 50 anni (1870-1920) arrivarono sulle coste del Brasile circa 1,4 milioni di italiani. Il 42% di tutti gli immigrati del Paese (circa 3,3 milioni). Più della metà era del nord Italia, quasi il 27% di loro proveniva dal Veneto.
Italia, Veneto, 1870
Dopo l’Unità d'Italia, il Veneto era in piena crisi economica e, come scrisse lo storico Emilio Franzina
"Si poteva morire di fame e l'unico cibo per la classe rurale era la polenta, poiché la carne bovina era un mito e il pane di farina di grano era inaccessibile a causa del suo prezzo elevato."
Anche in altre regioni italiane (e nazioni europee) fame e miseria affliggevano la popolazione, tanto che tra il 1877 e il 1886 fu condotta l’inchiesta parlamentare Jacini, per esaminare le condizioni dell’agricoltura in Italia. Da questa
“L'Italia ufficiale imparò allora che in vastissime plaghe delle sue campagne la denutrizione era la regola, che la malaria infieriva nelle regioni del Sud e la pellagra in quelle del nord e che le vittime di queste malattie si contavano ogni anno a migliaia. Seppe delle case-tugurio, dei bambini costretti al lavoro in acerbissima età, dell'analfabetismo e della degradazione; ma la denuncia non ebbe seguito.”
L’Italia ufficiale di Giuseppe Villani – Rapporto del 1884 sull’inchiesta Jacini
La povertà estrema, la malattia, l’analfabetismo e l’alto numero di figli nelle famiglie portò a uno dei flussi migratori più grandi del nostro Paese. Colpiti da diverse calamità che avevano distrutto i raccolti e stretti dalle imposte eccessive, ai contadini veneti restava un'unica soluzione: Merica, Merica, Merica.
Italia - Brasile, 1870-1914
Per l’Italia di quei tempi emigrare era sinonimo di America, per le popolazioni del nord, principalmente per i veneti, America era sinonimo di Brasile.
“América América
si campa a meraviglia
andiamo nel Brasile Brasile Brasile
con tutta la famiglia e i tuoi parenti
América América
si sente cantare
andiamo nel Brasile
Brasile a popolare.”
Ma perché proprio il Brasile?
Non era strano sentire in tutte le regioni italiane frasi come
"Venite a costruire i vostri sogni con le vostre famiglie. Un Paese di opportunità. Clima tropicale e abbondanza. Ricchezza mineraria. In Brasile potete avere il vostro castello. Il governo dà terra e utensili a tutti."
Questo perché lo Stato sudamericano intraprese un’enorme campagna marketing ai fini di una migrazione sovvenzionata.
Il governo brasiliano pagava il passaggio degli immigrati, poiché aveva un urgente bisogno di manodopera, soprattutto dopo l’abolizione della schiavitù. Inoltre, alcune zone del Brasile erano completamente disabitate e bisognose di nuove colonie.
Dopo che la popolazione e il governo brasiliano iniziarono a vedere i primi sbarchi da tutto il mondo, gli italiani vennero considerati i migliori immigrati per diversi motivi. Come scrive l'IBGE:
“Erano molte le nazionalità di immigrati che giunsero in Brasile a partire dai primi decenni del XIX secolo, ma l'italiano, anche se non era il "più bianco e il più istruito", si segnalò come un immigrato adatto e affidabile per svolgere i compiti che il Brasile si aspettava da lui.”
E ancora:
“L'italiano ha riunito le due condizioni di immigrazione più apprezzate dalle autorità pubbliche, dagli intellettuali e dagli imprenditori privati. La vicinanza di lingua, religione e costumi rendeva gli immigrati italiani più facilmente assimilabili dalla nostra società rispetto, per esempio, ai tedeschi o ai giapponesi; inoltre, essi corrispondevano agli ideali di sbiancamento della nostra popolazione, ritenuti auspicabili per diventare più "civili" ai nostri occhi e agli occhi del mondo.”
Tra tutti gli italiani, i veneti vennero prediletti in quanto esperti d’agricoltura e tra le genti meno ribelli. Per questo tra i mercati o nelle fiere dei giorni di festa di Verona, Belluno, Vicenza, Padova e Treviso, gli agenti di emigrazione giravano tra le persone descrivendo il Brasile come il paese della “Cuccagna”, dove il guadagno sarebbe stato sicuro.
“‘Merica’ fu un grande mito che significava emancipazione, riscatto e libertà. Per i rurali veneti questa fuga rappresentava un riscatto sociale poiché il loro attaccamento alla comunità e alla famiglia faceva sì che potessero ricreare e riaffermare lo stesso modello culturale.”*
*L. A. Deboni, R. Costa, Gli italiani del Rio Grande do Sul in Euroamericani
Tra questi agenti non c’erano solo inviati dello Stato brasiliano, ma anche delle compagnie di navigazione e dei proprietari di fabbrica bisognosi di placare agitazioni e scioperi di quel momento. Quest’ultimi, per licenziare e mantenere calmi gli operai, offrivano come buona uscita un biglietto di sola andata per una nuova vita.
Un altro importante fattore decisivo per gli italiani, era l’obbligo al servizio militare, a cui i giovani potevano scampare solo emigrando.
Il Brasile divenne così la terra promessa di molti italiani, nello specifico di tanti, tantissimi veneti. Nel censimento del 1871, secondo l’ISTAT, la regione contava 2.196.000 abitanti: questo significa che il 17% della popolazione sarebbe emigrato da lì a cinquant’anni.
Oceano-Brasile, 1870-1914
Le emigrazioni iniziarono dapprima clandestinamente, poiché il governo italiano cercava di impedire le uscite: il passaggio da Genova al Brasile oscillava tra le 160 e le 200 lire. Spesso intere famiglie donavano tutti i loro averi per permettere a una sola persona tra loro il viaggio transoceanico.
Quando nel 1876 l'emigrazione venne ufficialmente riconosciuta, partirono i primi contingenti carichi di veneti: prima i contadini vendevano ogni cosa per ottenere qualche soldo in più per il viaggio, ora quest’ultimo era finanziato dalle agenzie d’emigrazione convenzionate con i governi dei paesi americani interessati agli immigrati.
Iniziavano allora le lunghe traversate via mare: 30 giorni di stiva sulle navi a vapore, tra condizioni igieniche scarse e cibo mancante, favorirono l'insorgere di epidemie. Se si riusciva ad arrivare a destinazione poi,
“gli emigranti vengono ‘consegnati’ a degli agenti che avevano l'incarico di accompagnarli nelle locande autorizzate. Qui, avveniva ogni genere di speculazione dato che le agenzie di emigrazione ricevevano dalle compagnie di navigazione una certa somma per ogni persona imbarcata approfittandosene, pertanto, della situazione.”*
*O. De Rosa, D. Verrastro, Appunti di viaggio
E ancora:
“Le compagnie cercavano di contenere al minimo le spese sistemando gli emigranti in luoghi poco sicuri e non igienici; mentre i locandieri si facevano consegnare dagli emigranti il poco denaro che avevano, realizzando in questo modo un doppio guadagno”. *
C. Povolo, G. Chistè Famiglie venete in Brasile: testimonianze in Tàlian
Ma i migranti riuscirono a superare in molti questi enormi ostacoli. Nonostante questo, ciò che trovavano i veneti, e in generale gli italiani, arrivati fin dall’altra parte del mondo, non era la terra promessa.
Non c’erano né sogni, né opportunità, né ricchezze. L’unico obiettivo di chi stimolava l'immigrazione era quello di trovare forza-lavoro per sostituire gli schiavi nelle fazendas. E questo divennero gli emigrati, nuovi schiavi senza futuro.
Brasile, gennaio 1885
Cara moglie,
in America si credeva di trovare le delizie della terra, cioè lavorare poco e guadagnare molto, ma invece non è così. Al contrario si lavora molto e si guadagna poco e si magna anche male. Al tempo d’oggi l’America non è più l’America: qui la fortuna è ormai smarrita, i lavori vanno male. Ora sono sotto un altro padrone, mi tocca travagliare con gerle sulle spalle su per i monti come un musso. Alla mattina si comincia con le stelle e la sera a casa con le stelle. È da preferirsi stare in prigione in Italia che in una fazenda qui.
Molti provarono a tornare a casa, ma l’impresa era impossibile: il viaggio di ritorno per attraversare nuovamente l’oceano era troppo costoso. In più, molti avevano contratto debiti con i loro “padroni” per il costo del viaggio.
Solo nei primi anni del Novecento cominciano a leggersi sulla stampa italiana notizie sulle pessime condizioni di vita degli emigrati: uomini e donne non potevano abbandonare i campi di caffè dove lavoravano, ridotti in una “schiavitù legale”. Fu a quel punto che lo Stato italiano, con il decreto Prinetti del 1902, proibì l'immigrazione sussidiata dei cittadini italiani in Brasile.
Il flusso degli emigrati diminuì improvvisamente.
Brasile, 2024
L’emigrazione italiana iniziò a diminuire drasticamente anche per una legge che il Brasile promulgò per impedire l’entrata agli uomini che non avevano completato la leva militare. Era il 1914 e l’Italia necessitava di giovani per il conflitto.
Più di 150 anni dopo, oggi, l'Ambasciata d'Italia a Brasilia stima che circa 30 milioni di brasiliani siano di origine italiana (metà degli abitanti dell’Italia stessa): il 15% della popolazione totale.
Gli italo-brasiliani sono la più grande popolazione etnicamente italiana fuori dall’Italia.
San Paolo, Rio Grande do Sul, Minas Gerais, Espírito Santo, Santa Catarina e Paraná concentrarono la quasi totalità degli immigrati nostrani, infatti a oggi sono zone a prevalenza italo-brasiliana. Qui le città e i comuni si chiamano, per esempio, Nova Schio, Nova Bassano, Nova Bréscia, Nova Treviso, Nova Veneza, Nova Padova e Monteberico.
Gli italo-brasiliani parlano ancora oggi la lingua veneta degli antenati: il Talian, questo il suo nome, oggi viene parlato da circa 500.000 persone. Si tratta di un idioma con grammatica e lessico propri del dialetto veneto, influenzato da altri dialetti italiani e dal portoghese.
Il Talian nacque grazie alla distribuzione concentrata dei coloni in una certa area geografica del Paese, oltre che per i numerosi matrimoni tra italiani. Dati i continui scambi fra gli emigrati, c’era bisogno di una sola lingua comune per gli affari: la maggioranza numerica fece sì che il veneto vincesse sugli altri dialetti.
Il veneto brasiliano fu perseguitato poi negli anni Quaranta, quando in piena campagna nazionalistica il presidente Getúlio Vargas costrinse chi non parlava portoghese a “integrarsi meglio” nella cultura nazionale: il Talian quindi, usato sia in pubblico sia in casa, era illegale.
Da quel momento nacque uno stigma per le lingue diverse dal portoghese, fino al momento in cui gli italo-brasiliani lottarono per il riconoscimento linguistico (prima che lo stesso dialetto veneto fosse riconosciuto nel 2007 dalla Regione Veneto).
Di fatto, oggi, un cittadino italiano che conosce il dialetto veneto può conversare con un cittadino brasiliano di discendenza italiano/veneta, nonostante siano nati in due punti opposti del mondo.
Gli italiani e la loro cultura si sono mescolati a quella brasiliana, influenzandola e modificandola nel tempo. Lo Stato brasiliano deve all’emigrazione italiana molto: dall’economia all’arte, dalla crescita demografica all’esistenza di questo Paese per come lo conosciamo oggi.
Italia, 2024
Le storie e le modalità delle immigrazioni sembrano essere simili lungo i secoli. Sembra esserci sempre una terra promessa che non rispetta le aspettative. Una resistenza a mantenere le proprie radici culturali e sociali. C’è sempre un luogo da cui scappare e un luogo in cui cercare salvezza.
Si è sempre perseguitati, per gli usi, i costumi o anche solo per la lingua.
Si viene sempre definiti in base alle caratteristiche fisiche e/o religiose.
Si viene sempre scelti per ciò che fa comodo, per quel che serve al Paese dove arrivi.
Si ha sempre qualcosa da offrire dove si arriva, c’è sempre qualcosa da ricevere da chi ci ospita.
Per il proprio Paese si è sempre emigrati, sempre immigrati per un altro.
Un ringraziamento speciale va a Paolo, che mi ha fatto scoprire questa storia perduta senza quasi saperlo.
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