Benvenuti su Storie perdute, la newsletter che due volte al mese racconta storie che meritano di essere raccontate. E che molto spesso sono state dimenticate.
Stati Uniti d’America, 1941
A New York il 23 ottobre del 1941 veniva proiettato in anteprima il 4° film d’animazione di Walt Disney: Dumbo, l’elefantino volante, ispirato da un racconto per bambini.
Nel 1948 quando il lungometraggio arrivò anche nel nostro Paese, in pieno dopoguerra, fu tradotto come Dumbo - L'elefante volante, nonostante in inglese fosse Dumbo Jumbo. Non a caso la mamma dell’elefantino è la Signora Jumbo anche in italiano.
La parola jumbo oggi indica persone, animali o oggetti di grosse dimensioni. Questo termine non nasce da una radice linguistica inglese, ma più probabilmente dallo swahili (jambo significa ciao, jumbe, capo) o da lingue indiane dove con jambu si indica un albero di melarosa gigante, i cui frutti erano paragonati alla grandezza degli elefanti.
Almeno questo è quello che si pensa, dato che Anoshan Anathajeyasri, leader londinese dell’associazione dei custodi di zoo, aveva forse origini indiane, e fu lui a dare il nome a Jumbo, l’elefante omaggiato dal cartone animato Disney.
Sudan, 1860
Circa il giorno di Natale del 1860 Jumbo nacque in Sudan, uno Stato del Nordafrica. Quando aveva solo un anno, l’elefantino perse la madre a causa di una battuta di caccia: gli stessi cacciatori lo catturarono per rivenderlo a Lorenzo Casanova, un commerciante di animali italiano che lo portò da lì a Trieste.
Casanova aveva acquistato in Africa diversi animali, che vendette poi al proprietario di un serraglio itinerante in Germania. Jumbo iniziò così a viaggiare per l’Europa, ma poco dopo finì per stabilizzarsi nel Jardin des Plantes a Parigi: uno dei maggiori zoo europei dell’epoca.
All’età di 5 anni, l’elefante fu scambiato con il London Zoological Gardens, altro enorme zoo europeo. In cambio, il Jardin des Plantes ricevette un rinoceronte, due dingo, uno sciacallo, un opossum, un canguro e una coppia di aquile.
Il 26 giugno del 1865 Jumbo venne spedito in Gran Bretagna, Paese che lo avrebbe trasformato in una star. Adulti e bambini avrebbero avuto la possibilità di cavalcarlo, come successe per i figli della regina Vittoria e per un giovane Winston Churchill.
Al suo arrivo, l’elefante era in pessime condizioni fisiche: malato, sporco, emaciato per maltrattamenti. È in questo momento che il già citato Anoshan Anathajeyasri nomina l’elefante Jumbo, e che Matthew Scott diventa il suo custode, il suo infermiere e il suo addestratore.
Sebbene al suo arrivo fosse un cucciolo, Jumbo continuò a crescere raggiungendo quasi i 4 metri di altezza. A oggi viene ricordato come uno dei più grandi elefanti di tutti i tempi. La sua grandezza cominciò a essere un problema quando, come riportò Scott nella sua biografia, di notte iniziò ad avere eccessi di rabbia. Fu nel 1882 che Abraham Bartlett, sovrintendente dello zoo, arrivò a decidere di vendere l’animale per l’intensificarsi della sua aggressività. Il timore era quello che l’elefante potesse ribellarsi contro il pubblico.
Londra, 1882
Phineas T. Barnum, proprietario del Barnum & Bailey Circus, diventò la soluzione ideale per lo zoo londinese: le dimensioni di Jumbo erano ormai leggendarie, e l’imprenditore circense voleva avere l’elefante più grande del mondo tra le sue attrazioni. Lo comprò nello stesso anno per 2.000 sterline.
La vendita dell’animale causò però una forte indignazione nell’opinione pubblica: 100.000 studenti scrissero alla regina Vittoria per fermare la compravendita, sui giornali apparvero molti appelli e condanne, come quella di John Ruskin sul The Morning Post:
“Io, per uno dei suddetti compagni, non ho l'abitudine di vendere i miei vecchi animali domestici o di separarmi dai miei vecchi servitori perché li trovo occasionalmente, fosse anche "periodicamente", soggetti ad attacchi di malumore; e non solo ‘rimpiango’ gli atti del consiglio, ma li disconosco completamente, in quanto vergognosi per la città di Londra e disonorevoli per l'umanità intera.”
Venne addirittura creato un fondo per riacquistare Jumbo. Sotto tutta questa pressione, lo zoo non poté far altro che cercare di revocare la vendita, ma Barnum era deciso:
"Non lo venderei nemmeno per $100.000: l'America sta aspettando Jumbo."
Stati Uniti d’America, 1882
A 22 anni Jumbo giunse infine nel Nuovo continente insieme a Michael Scott e al circo Barnum: l’impresario riuscirà a recuperare la spesa del suo acquisto nelle sole prime tre settimane di esibizione dell’elefante al Madison Square Garden di New York. Jumbo è da subito un successo.
Negli anni a seguire, Jumbo fece parte del gruppo dei 21 elefanti di proprietà del circo, usati anche per dimostrare la resistenza del ponte di Brooklyn, dove 12 persone erano morte da poco, durante una fuga causata da panico di massa per un crollo.
In pochissimo tempo il pachiderma divenne l’attrazione principale del circo: trasportato attraverso gli Stati Uniti nel suo vagone treno chiamato Jumbo's Palace Car, nel corso della stagione fece guadagnare a Barnum 1.75 milioni di dollari.
Gli eccessi di rabbia di Jumbo però non si fermarono: durante un tour in Messico arrivò a rompersi le zanne, e una volta ricresciute, le consumò sfregandole contro le sbarre della gabbia. Matthew Scott ammise di avergli fatto bere del whisky sporadicamente per tenerlo calmo.
St. Thomas, Ontario, 1885
Dopo uno spettacolo del circo a St. Thomas, in Ontario, dove la posizione strategica sulle linee ferroviarie facilitava la sosta, gli elefanti vennero spostati dal tendone ai vagoni loro destinati.
Alle ore 21.30 del 15 settembre 1885, lungo la linea ferroviaria del Grand Trunk, il treno merci speciale #151 guidato da William Burnip stava viaggiando normalmente. Quando il conducente si accorse di due elefanti lungo i binari, era già troppo tardi.
Su quella stessa linea, Jumbo e il piccolo Tom Thumb stavano camminando sui binari per raggiungere i loro vagoni. Lo spettacolo era probabilmente terminato in anticipo, perché quel passaggio doveva essere fatto solo dopo le 21.55.
William Burnip suonò l’allarme, cercò di fermare il treno, ma colpì comunque Tom Thumb, venendo così sbalzato in un burrone. Jumbo fu il secondo a essere colpito dal treno che iniziava a deragliare: le sue ferite furono fatali, in pochi minuti l’elefante morì a soli 25 anni, mentre Scott gli accarezzava la testa piangendo.
Ci vorranno centinaia di spettatori per spostare il mastodontico cadavere dai binari. Tom Thumb verrà salvato dai veterinari del circo. William Burnip si salverà. William Scott, disperato, trascorrerà gli ultimi anni nella povertà, dopo aver scritto la biografia di Jumbo e di se stesso.
New York, 1885
Phineas Taylor Barnum venne informato dell'incidente il giorno successivo, a New York durante la colazione. In un primo momento decise di denunciare la Ferrovia Grand Trunk, chiedendo un risarcimento di 100.000 dollari per il danno subito. Ma poi realizzò che poteva ancora guadagnare grazie all’elefante: inviò quindi il cadavere alla Ward's Natural History Establishment di Rochester per un’autopsia.
Oltre a scoprire che lo stomaco dell’animale era pieno di monetine, pietre, sigilli di piombo di vagoni ferroviari, viti, rivetti, pezzi di filo metallico e molto altro (probabilmente oggetti lanciati in bocca all’animale dal pubblico), durante l’autopsia vennero selezionate delle parti di Jumbo, come il cuore, e vendute.
Il suo scheletro invece, fu conservato proprio dal circo Barnum, che lo rese una sua attrazione nei tour per diversi anni, insieme alla copia imbalsamata dell’animale, creata con la pelle di Jumbo.
Stati Uniti d’America, 2024
Lo scheletro di Jumbo venne donato dal circo Barnum all'American Museum of Natural History di New York, dove ancora oggi risiede. La copia imbalsamata dell’elefante bruciò in un incendio del 1975 nell’Università Tufts, dov’era stato esposto per anni nella P. T. Barnum Hall. A salvarsi fu solo una parte della coda, rimossa dalla sala per un restauro.
È proprio grazie a questo reperto che la ricercatrice Holly Miller dell’Università di Nottingham è riuscita a risalire alla dieta di Jumbo: nei peli della coda sono state rilevate grandi quantità di azoto, che potrebbero indicare la malnutrizione e i dolori provati dall’animale in vita per diverse ferite.
Anche se non certa, questa conclusione è in accorto con la scoperta fatta sull’animale dal naturalista britannico David Attenborough insieme ad altri scienziati, grazie all’analisi del cranio: Jumbo presentava diverse malformazioni ai denti, forse dovute alla dieta “da zoo” che seguiva l’animale, molto lontana da quella che la natura aveva pensato per lui. L’elefante non aveva un adeguato ricambio di denti e questo poteva essere motivo di forte dolore. Così intenso da causare quasi certamente gli eccessi d’ira di Jumbo, che tanto spaventavano di notte gli umani.
“Gli elefanti hanno sei denti, ma solo uno su ciascun lato e si consumano in un determinato momento. Quando il dente cade, nasce un altro dente per sostituirlo, ma se il dente vecchio non si consuma abbastanza non cade, provocando la deformazione del nuovo dente.”
Richard Thomas - archeologo dell’Università di Leicester nel Regno Unito
Le analisi sono continuate anche sullo scheletro di Jumbo, rivelando un’insolita sovrapposizione di strati di ossa nuove e vecchie sui fianchi: anche qui i ricercatori sono arrivati alla conclusione che l’elefante avesse subito parecchie lesioni incredibilmente dolorose, che il corpo stava cercando di riparare. Con ogni probabilità a causare il tutto fu il peso che l’animale dovette trasportare per anni, con interi gruppi di uomini, donne e bambini sulla sua schiena.
“Quando osserviamo il ginocchio, vediamo tutti i tipi di cambiamenti nel tessuto osseo che non ci si aspetterebbe di vedere in un elefante di quell’età. Non dimenticate che Jumbo aveva solo 24 anni ed era ancora in crescita. Le sue ossa assomigliano più a un elefante di 40 o 50 anni.”
Richard Thomas - archeologo dell’Università di Leicester nel Regno Unito
Al momento della sua morte, Jumbo era ancora in fase di crescita – lo prova l’analisi del suo scheletro –, infatti gli esemplari della sua specie arrivano a vivere fino a 60 anni.
Londra, 1° marzo 1826
Chunee, o Chuny, elefante indiano che venne portato in Inghilterra dalla compagnia delle Indie Orientali, divenne una grande attrazione in Inghilterra. Nei suoi ultimi anni divenne molto violento, forse a causa di una zanna cariata, tanto da impazzire e uccidere uno dei suoi custodi.
Per questo, poco dopo si cercò di ucciderlo con del cibo avvelenato, ma l’animale si rifiutò di mangiarlo. Venne quindi richiesto l’aiuto di alcuni soldati, che crivellarono Chunee con 152 proiettili da moschetto dopo che lui si fu inginocchiato davanti al suo custode più fidato. Resistendo ancora, l’elefante fu ucciso con un arpione o una spada.
Coney Island, USA, 4 gennaio 1903
Topsy, esemplare femmina di elefante indiano portata clandestinamente negli USA e fatta diventare un’attrazione circense, venne uccisa con una scossa elettrica di 6600 volt in un’esibizione pubblica con centinaia di spettatori.
La sua colpa fu quella di aver causato la morte di James Fielding Blount, che da ubriaco tentò di far bere a Topsy del whisky, bruciandole la punta della proboscide con un sigaro. All’epoca, la stampa le attribuì l'etichetta di "elefantessa cattiva", imputandogli così uccisioni di uomini senza prove.
Erwin, USA, 13 settembre 1916
Big Mary fu un’elefantessa indiana del circo Sparks World Famous Show, famosa per pesare cinque tonnellate ed essere più grande di Jumbo.
Red Eldridge, giovane operaio del circo, venne ucciso da Big Mary durante una marcia pubblicitaria: alcuni testimoni videro il ragazzo pungolare l’elefantessa con un gancio poiché si era fermata. Anche lei, a causa dei giornali, divenne subito "Mary l'omicida".
Per poter rimediare alla cattiva pubblicità, il proprietario del circo decise di uccidere Big Mary, che venne impiccata con una gru e una catena. Ci vollero due tentativi, perché al primo l’elefantessa cadde ferendosi gravemente.
Non si scelse la via dell’avvelenamento perché non si riusciva a ingannare l’animale, mentre l’elettrocuzione non era possibile, dato che al tempo nel Tennessee non vi era sufficiente elettricità per uccidere un elefante.
Honolulu, 20 agosto 1994
Tyke, elefantessa africana del Circo Internazionale di Honolulu nelle Hawaii, fu invece uccisa a seguito di una ribellione dopo anni di soprusi e violenze subite.
Durante la sua fuga, venne colpita da 86 colpi di arma da fuoco e lasciata morire per dissanguamento per due ore.
Italia, 2024
Secondo LAV, Onlus che dal 1977 difende gli animali e lotta contro ogni forma di sfruttamento e di maltrattamento:
“Si stima che ancora oggi siano circa 2.000 gli animali usati nei circhi italiani, costretti a esercizi innaturali, sottoposti ad addestramenti basati anche su violenza fisica e psicologica, rinchiusi in piccoli spazi, spesso in ambienti inadeguati e sottoposti a spostamenti che costituiscono per loro un ulteriore stress. Mentre sono già più di 50 i Paesi che nell’Unione Europea e nel resto del mondo hanno vietato o fortemente limitato l’uso degli animali nei circhi in diverse forme.”
Dai dati raccolti da Eurogroup for Animals, di cui LAV fa parte, si evince che:
“[…] nell’UE sono stati registrati 478 incidenti che hanno coinvolto animali selvatici nei circhi negli ultimi 24 anni, dal 1995 al 2019. Il numero più alto di incidenti è stato registrato in Germania (202 casi), seguita da Francia (85) e Italia (44). A parte i Paesi sopra citati, più Grecia e Portogallo, sono stati segnalati incidenti in tutti gli altri 17 Stati Membri negli ultimi cinque anni, per un totale di 159 casi.”
LAV ha richiesto anche una ricerca a BVA Doxa per raccogliere le opinioni degli italiani sull’utilizzo degli animali nei circhi:
“Su 1.001 interviste svolte online ad un campione nazionale rappresentativo della popolazione italiana di 18-74 anni, i risultati hanno confermato che la stragrande maggioranza degli intervistati sono contrari all’uso degli animali nei circhi, senza differenze significative di età, area geografica e orientamento politico”.
Ma allora perché continua a essere permesso l’uso di animali nei circhi?
In Italia i circhi ricevono finanziamenti pubblici stanziati attraverso la Legge 30 aprile 1985, n.163, che per la prima volta istituisce il cosiddetto Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS). Nel 2023 sono stati stanziati alle attività di circo e spettacolo viaggiante 6.767.515,80 €. Secondo il report di SIAE, nel 2022 i circhi italiani hanno incassato dalla vendita dei biglietti solo 8.7 milioni di euro. Sul tema LAV si esprime così:
“Appare evidente come i fondi siano praticamente il sostentamento maggioritario a questo tipo di spettacoli che ormai ricevono nelle loro forme tradizionali sempre meno interesse, in favore dei circhi contemporanei e sociali che invece registrano spesso il sold out.”
A non beneficiare dei finanziamenti pubblici ci sono i circhi condannati in via definitiva per maltrattamento di animali o colpevoli di violazioni in materia di protezione degli animali. A beneficiarne però, ci sono i circhi accusati e ancora in fase di processo.
In Italia si posticipa una Legge-delega sullo spettacolo dal 2017. L’ultima data decisa per procedere alla Legge attuativa per il "superamento dell'uso degli animali nei circhi e negli spettacoli viaggianti” è il 18 agosto 2024.
Ogni storia ha dentro tante storie, se questa ti è piaciuta particolarmente, questi sono 3 consigli per te:
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